Il KPFR, partito erede del fu PCUS—il Partito Comunista dell’Unione Sovietica–chiederà all’attuale Governo russo di vietare in tutto il mondo l’utilizzo della stella rossa a cinque punte come marchio commerciale, secondo quanto scrive il Moscow Times.
Appellandosi a un curioso concetto di “copyright”, il Deputato e Consigliere Legale del partito, Vadim Solovyov, ha detto che il suo partito rivolgerà una richiesta al Primo Ministro russo, Dmitrij Medvedev, a
che si adoperi per garantire “la protezione dei nostri simboli, compresa la stella rossa, il simbolo di vittoria che appare sulle nostre bandiere”. Solovyov spiega che: “A volte vengono usati per scopi commerciali, e lo Stato deve proteggerli dall’utilizzo da parte di società straniere. Gli stranieri non devono avere nulla a che fare con il nostro simbolismo”.
Esiste però un problema di uso anteriore. Molte aziende—la birra Heineken, l’italiana San Pellegrino, il molto capitalista grande magazzino di New York, Macy’s, per citarne alcune—usano quella stella da parecchio più tempo del relativamente giovane partito
bolscevico russo. La Heineken la impiega dal 1863, la San Pellegrino dal 1899 e Macy’s dal 1858, mentre la rivoluzione russa l’addotta solo nel 1917.
Ad essere veramente pignoli, la stessa Italia ha un diritto acquisito al simbolo ancora più antico—di molto. Già in epoca romana e nel basso Medioevo l’Italia era spesso rappresentata da una stella— diventata poi lo “stellone”—in quanto, visto dall’Antica Grecia, il Belpaese era ad ovest, proprio dove sorgeva la “Stella della Sera”, Venere (un pianeta, non una stella, ma che ci volete fare…).
È probabile che queste considerazioni dotte non importino più di tanto al KPFR. Aldilà del presunto predominio della politica sul commercio, la sparata su come la stella sarebbe “solo nostra” appare più che altro un banale tentativo di guadagnare un po’ di spazio sui giornali russi.
Non è facile essere ancora comunisti nell’ex Unione Sovietica. Vladimir Putin è molte cose, ma non è certo sospettabile—oggi—di portare il cuore a sinistra. È, anzi, la perfetta incarnazione del muscoloso leader di destra, incline almeno quanto Benito Mussolini a sfilare la camicia per mostrare i pettorali.
Il Partito Comunista della Federazione Russa—non è così importante oggi che occorra italianizzare l’acronimo KPFR—sopravvive essenzialmente perché conta poco. Nelle ultime elezioni parlamentari russe ha sì attratto il 19% del voto popolare—eleggendo 92 dei 450 membri della Duma—ma serve soprattutto a neutralizzare il blocco dei vecchi nostalgici ed è perlopiù considerato un inerme fiancheggiatore di Putin e del suo molto più importante partito Russia Unita.
La roccaforte del KPFR è a Novosibirsk, la terza città del Paese, dove nel 2013 è riuscito a vincere le elezioni locali—un successo che richiama l’antico predominio del neofascista MSI a Napoli.
La pretesa del partito di riavere la “sua” stella, dopo avere perso tutto il resto, fa una certa tenerezza. Forse una delle molte aziende che possiede dei diritti allo sfruttamento del simbolo vorrà concedergli una limitata licenza per utilizzarlo nelle elezioni a Novosibirsk e nella circostante Siberia.