Governo Marziano

La Nasa progetta di trasportare esseri umani su Marte nei primi anni Trenta di questo secolo. La fondazione Mars One annuncia viaggi di “solo andata” per i nuovi pionieri già nel prossimo decennio e l’imprenditore Elon Musk (Tesla, SpaceX) si è dato la missione di salvare la specie umana dalla possibile estinzione facendo di Marte una sorta di “pianeta di scorta”.

L’umanità non ha uno splendido record nella pacifica occupazione di nuovi territori. Siamo bravi—o lo siamo stati—solo quando queste terre non sembrano valere niente, come nel caso delle due calotte polari. Anche lì, ora che nuove tecnologie permettono il recupero del petrolio e dei minerali sotto il ghiaccio, nascono preoccupanti ambizioni nazionali.

Ad ogni modo, dove c’è una popolazione umana, occorre una qualche forma di governo. Cominciano già a fioccare proposte per come amministrare il Pianeta Rosso. Musk, che rappresenta il pensiero politico “tecno-libertario” dominante nella Silicon Valley, immagina una democrazia diretta dove i cittadini approvano—o disapprovano—le leggi votando al computer, senza passare attraverso un altro corpo deliberativo. Per lui, le leggi dovrebbero avere una data di scadenza ed essere “annullabili” con il voto del 40% della popolazione marziana.

Sara Bruhns e Jacob Haqq-Misra, scrivendo su Space Policy, basano la loro proposta, più convenzionale, sui trattati già esistenti in situazioni forse paragonabili: gli accordi internazionali relativi allo sfruttamento dell’Antartide, la UN Convention on the Law of the Seas (UNCLOS) o l’Outer Space Treaty (OST) del 1967, firmato poco prima dell’arrivo dell’uomo sulla Luna. La visione dei due studiosi prevede che Marte sia governato da un “Segretariato marziano” di “scienziati, esperti e leader” che ricorda vagamente la tecnocratica Commissione Ue. Le presenze nazionali si limiterebbero a “parchi” di un raggio inferiori ai cento km, stabiliti in maniera da “proteggere siti di valore scientifico, estetico, storico, culturale, ambientale e spirituale”, il tutto a beneficio dell’umanità intera ovviamente.

Il modello, basato sull’idealismo statalista dell’OST, formulato quando nessuno era ancora mai andato nello spazio profondo, comprende anche un principio di “non-appropriazione” secondo il quale gli stati non potranno assumere la sovranità sui corpi extraterrestri attraverso l’utilizzo o l’occupazione.
Però, quando l’uomo è poi riuscito ad arrivare aldilà dell’immediata orbita terrestre, l’entusiasmo per questi principi è subito scemato. Il “Moon Agreement” dell’Onu, entrato in (teorico) vigore con la firma dell’Austria nel 1984, non è mai stato accolto da alcuna nazione in grado di viaggiare nello spazio, per quanto sia stato firmato da 11 paesi assolutamente terricoli. Il Congresso americano intanto ha approvato, a novembre scorso, lo US Commercial Space Launch Competitiveness Act. Riconosce il diritto dei cittadini Usa di sfruttare i depositi minerali dei “corpi celesti” e diffida i terzi dall’interferire. Dunque, gli avvocati sono già al lavoro anche se non c’è ancora l’oggetto del contendere. Forse è bene ricordare che esiste anche il concetto del diritto di “autodeterminazione dei popoli”. Se, come prevede Elon Musk, ci sarà già un milione di abitanti umani su Marte nel 2070, probabilmente agiranno come vorranno loro. La storia umana però suggerisce che alla fine lo faranno con la violenza.

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